Il turbante, è stato avvolto tante e tante volte, ha ricoperto tanti e tanti uomini e donne, che la sua storia sembra quasi infinita, tanto quanto tutta quella stoffa che lo ha reso popolare.
Giunse in Europa, tra il XV° e il XVI° secolo, per mezzo dei Turchi che lo chiamavano tulbent (termine che a sua volta deriva dal persiano dulband). Ma in oriente solo gli uomini lo indossavano. Una volta approdato nel nostro continente, le donne lo hanno voluto e se lo sono preso (e il vizio di rubare dal guardaroba di lui divenne una consuetudine!).
All’inizio del Novecento, Paul Poiret non solo liberò le donne dal busto per restituirle ad un abbigliamento più comodo, ma riformò la moda investendola di quel gusto esotico che lo rese celebre: kaffettani e kimono, tuniche e calzoni alla turca e turbanti. Poiret ne adornò il capo delle sue modelle e delle sue fedelissime clienti, impreziosendolo con piume, perle e pizzi. D’altro canto, il gusto per l’esotico non era casuale, dal momento che nel 1909 si esibirono per la prima volta a Parigi i Balletts Russes: gli allestimenti e i costumi di Sherazade o di Le Dieu Blue ispirarono non solo Poiret, ma l’arte, la moda, la vita dei parigini e degli europei.
Il turbante divenne poi parte del look dei gloriosi anni ’20, insieme ai capelli alla maschietta, al trucco vivace e agli abitini charleston: ecco a voi la flapper-girl, la cui silhouette slanciata doveva essere giustamente proporzionata da copricapi non voluminosi.
Fu poi la volta degli anni ’40, e di una su tutte: Elsa Schiaparelli. La stilista che stravolse nei termini dell’irriverenza la moda internazionale, non poteva non indossare o fare indossare i turbanti in abbinamento alle sue note mise stravaganti.
Più in generale, durante questo periodo l’austerità della guerra invogliò le donne a coprirsi la testa con cappelli e turbanti eleganti ed estrosi: un modo con cui ovviare alla semplicità delle vesti o al fatto di non avere i mezzi economici per curare i capelli, che così venivano sapientemente nascosti. La scrittrice femminista Simone de Beauvoir ne fu una fervida indossatrice e finì con l’esserne fedele fino alla fine dei suoi giorni.
E ancora, i turbanti delle eleganti donne della buona borghesia degli anni ’50, copricapi che arricchivano ulteriormente mise estremamente femminili, dalle gonne a ruota ai vitini da vespa ai guanti, al trucco evidente e il turbante non faceva altro che esaltare i visi decoratissimi delle LADYLIKE di quegli anni.
Siamo giunti, a questo punto, ad una fase storica per questo oggetto che un’immagine su tutte può sintetizzare al meglio:
Nel ritratto qui in alto, opera di Jeanloup Sieff, la modella, Marina Schiano, indossa un abito della collezione “anni ’40” di Yves Saint Laurent. La schiena si intravede grazie ad una profondissima scollatura coperta da pizzo nero. Sul capo, un turbante di velluto molto voluminoso nel quale sono raccolti i capelli. Il collo è nudo. Il risultato è sofisticato e sensualissimo.
La donna, fra i ’60 e i ’70 fu colei che nutrì un gran desiderio di ribellarsi alle autorità, della famiglia, della chiesa, dello stato, battendosi per un mondo migliore, aderendo così ai vari movimenti di contestazione indossando un abbigliamento “trasandato”, ma fu anche colei che che apprezzò l’avvento del prêt-à–porter, di quei meravigliosi vestiti del supremo Yves, che proprio nel 1976/77 propose la celebre collezione russa: “voluttuosi vestiti ricamati, galloni dorati, passamanerie, boleri decorati…” e turbanti (“La moda, Il secolo degli stilisti, di Charlotte Seeling per Konemann). Le influenze esotiche, i rimandi a Paul Poiret sono evidenti, la sua grandezza risiedeva nel contagiare le donne al punto da renderle delle eclettiche hippy di lusso.
Infine, negli anni ’80, la donna indossò il fascinoso copricapo accostandolo al noto power dress dell’epoca. “Dressed for success”, sembravano esclamassero queste nuove abitanti della giungla urbana, agguerritissime nel tentativo di imporsi in un mondo, quello professionale, fatto di uomini, indossando giacche dalle spalle importanti e pantaloni, ingraziandoli con accessori femminei.
In conclusione, il turbante risulta un accessorio da sempre utilizzato e ci piace credere che un po’ sia per un desiderio comune alle donne di evadere, di immaginarsi in posti lontani, dalla Russia all’India all’Africa: la nostra testa viaggia e con un turbante in testa lo fa molto di più!
Questo articolo è stato realizzato da Chiara Mandetta, proprietaria insieme ad Amelia ed Elena del marchio Sine Modus, nato nel 2012 come brand di abbigliamento vintage ed evolutosi poi nello specchio del lavoro certosino di ricerca delle sue creatrici sotto forma di turbanti. Dai classici a quelli più elaborati, sempre realizzati con stoffe pregiate e particolari, oggi Sine Modus offre anche una linea pensata per le donne che seguono cure chemioterapiche.
Potete seguire le creazioni di Chiara, Elena e Amelia su Instagram e su Facebook, contattarle a info@sinemodus.it o andarle a trovare nei loro punti vendita in Via Giuseppe Sirtori, 14 (Porta Venezia) e in Via Generale Thaon di Revel, 28 (Isola), Milano.
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