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Farfalle pronte a spiccare il volo, corolle, ventagli, onde, foglie, armature, insetti, fisarmoniche. Un sasso in uno stagno e i cerchi che si formano dall’attrito. Ampie maniche, strascichi sontuosi, grandi code. Creazioni di pura forma plasmati in abiti. Forbici e filo, preziose sete, rasi, taffetà..I colori dell’arte, da Tiziano a Tintoretto, filtrati da una spiccata sensibilità. Mille ore di lavorazione, ricami eseguiti con materiali insoliti come pietre di fiume, paglia, conchiglie, bamboo e plexiglas. La creatività che esplora la natura, l’arte, l’architettura immergendosi nei meandri del sogno toccando spesso l’incredibile. La creatività di uno dei più importanti nomi dell’Alta Moda Italiana: Roberto Capucci.
Nato a Roma il 2 dicembre del 1930, l’amore per l’arte lo porterà a frequenta prima il Liceo artistico e poi l’Accademia delle Belle Arti. Enfant prodigio, a vent’anni apre il suo Atelier in via Sistina, per poi lasciare la sede storica di via Gregoriana e spostarsi a Foro Traiano. La direttrice sottopone i suoi disegni a Giovan Battista Giorgini -l’organizzatore- che, nel ’41, gli chiede di creare un abito per la moglie e uno per la figlia per il ballo a Villa Torrigiani.
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Troppo giovane per essere ammesso a sfilare alla Sala Bianca di Palazzo Pitti, prepara cinque tabloid con altrettanti modelli da disporre nel giardino della Villa. Clamore ed entusiasmo accolgono queste creazioni spianando, così, la strada del successo.
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Un successo che lo porta in America dove fioccano riconoscimenti. Nel’56 le sue creazioni vengono presentate in 14 diverse città. Nel’ 58 riceve a Boston il premio come miglior creatore per l‘innovativa Linea a Scatola, criticata dalla stampa italiana avvezza alla vita strizzata, ma incensata da quella d’Oltreoceano.
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Fra il ’55 e il ’56 disegna un cappotto di raso bianco con doppiopetto sia davanti che dietro, dalle maniche corte per permettere di indossare i lunghi guanti. Sorprendente proprio come quello a palloncino in taffetà rosso con una profonda tasca nascosta.
Sempre nel ’56 arrivano i complimenti da colui che inventò il New Look : Christian Dior, che dalle pagine di Vogue confida l’ammirazione verso questo ragazzo. “In Italia avete un ragazzo prodigio, se capita a Parigi che mi venga a trovare”. Il couturier porta con se quel complimento, vissuto con felicità e distacco onde evitare prese di orgoglio.
Bisogna pensare solo al lavoro. Un lavoro fantastico che contrassegna un periodo altrettanto fantastico: quello delle sfilate alla Sala Bianca. Nessuna rivalità, tutti amici. Cene alla sera e consapevolezza di avere ognuno il proprio stile. Forse, il ritratto di un altro mondo…
E poi lei, Valentina Cortese, l’interprete inconfondibile delle sue creazioni, fedele fin dal suo primo debutto, esigente musa ispiratrice .
Una donna affascinante, attratta dal potere ipnotico del colore. Solo colore. Quello che tinge i colori dei fiori : dal mauve al pervinca, al rosa chiaro.
Cortese e Capucci legano subito. L’attrice diventa amica di Marcella, sorella del couturier. Ma è anche una donna capricciosa, terribilmente capricciosa. Una volta desidera un abito verde. Nessuna dei 24 ritagli di nuances differenti riescono a soddisfarla…Manca quel verde…Esasperato, Capucci le risponde di farselo realizzare a Milano, il suo verde. Otto pagine di lettere, tutte con un petalo di rosa ed una lacrima, scritte dall’attrice che ricalcano il loro legame..Un mezzo per scusarsi. Lettera che oggi giace nell’archivio della fondazione insieme agli abiti dismessi della stessa.
Dopo un periodo parigino, dal ’62 al ’68, Capucci torna in Italia. Ed iniziano le collaborazioni con il cinema. Pasolini gli affida i costumi del film Teorema, con Terence Stamp e Silvana Mangano , la “Signora” che cena in abito lungo anche quando è sola, raffinata, magra, senza un filo di trucco.
Ma la più ardita fra le sue clienti si rivela Marisa Nasi. Unica. Elegante. Speciale. Con l’ordine di farsi preparare un guardaroba per la mattina, la colazione con le amiche, il pomeriggio, il cocktail e la sera. Vestendo poi anche le sue figlie.
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Sarà proprio la nobiltà romana a corteggiare Capucci: la principessa Maria Pace Odescalchi, sua cugina Vittoria, la principessa Pallavicini, la contessa Brandolini. Tre, quattro generazioni che vestono abiti senza tempo, magari proprio con lo stesso abito passato da nonna a nipote.
Ma per Capucci le regole commerciali non valgono, la pubblicità lo disgusta ed ecco che nell’80 si dimette dalla Camera della Moda. Decide dove e quando esporre. Come nelle suggestive cornici dei palazzi aristocratici, nelle sale per i concerti e nelle gallerie d’arte.
Nell’85 sfila all’Armony di New York. Nell’87 organizza la mostra Fashion and Surrealism al Victoria and Albert Museum di Londra, ripetuta tre anni dopo al Fashion Institute of Technology. Prime mostre che si intensificheranno nei ’90, varcando la soglia dei più importanti musei del mondo: da Parigi a Londra, Vienna e Pechino. Nel’94 la sua creazione Nove Gonne appare nella mostra Italian Metamorphosis al Guggenheim Museum.
Ma come dimenticarsi dello splendido abito dal collo fasciato, vita stretta, maniche gonfie e piccolo strascico sfoggiato da Rita Levi Montalcini per ritirare il Nobel? Una figura irreale, fiabesca..quasi onirica in un manto di colore viola scuro. -“Lei mi ha fatto diventare ambiziosa”- queste le parole della professoressa che racchiudono quanto la magia dell’arte di Capucci riesca ad essere meravigliosamente sublime e vero toccasana dell’essere.
Un plauso ulteriore va al fatto che Capucci risulti l’unico creatore che, in vita, costituisce dal 2005 una Fondazione con la finalità di conservare e promuovere la conoscenza di un grande patrimonio creativo: oltre 450 abiti storici e 22 mila schizzi. Numerosi i seminari tenuti sul taglio, plissettatura e tessuto, dedicati ai ragazzi che vogliono imparare il mestiere. Un mestiere capace di creare pura meraviglia tutta da indossare!!
E voi, come le trovate le creazioni firmate Capucci??
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