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Un tourbillon di sartorie, spettacoli, grande creatività intrisa di raffinata eleganza. Quella languida, sottile, enigmatica, che il bianco e nero del cinema e delle foto hanno saputo catturare appieno. Un’acconciatura, un paio di occhi cerchiati da ombretti fumosi, labbra rouge noir ed abiti dal semplice glam.
Già a partire dal Ventennio il made in Italy lasciava la sua impronta. Una corrente di moda autarchica, prima timida e poi più irruente, pronta a contrastare lo strapotere dei cugini transalpini – Stati Uniti e Francia- che presto diventò un fenomeno dotato di carattere, classe e brillanti guizzi creativi bandendo ogni sorta di imitazione.
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Il contributo dell’Italia appartiene già al periodo rinascimentale e alla grande fioritura delle città-stato con Venezia e Firenze in testa: erano questi i grandi centri di traffico con l’Oriente. Nel secolo XIII si producevano nel nostro Paese bellissime sete, e a Milano fioriva l’industria del velluto. Troveremo sempre che il centro della moda richieda la presenza di un’adeguata industria tessile: tra un pò leggerete il perchè!
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L’emancipazione femminile aveva fatto lenti progressi e la guerra ebbe l’effetto di accelerare enormemente questo processo. La libertà di movimento richiesta sui luoghi di lavoro, sui campi sportivi e nelle sale da ballo contribuì a condizionare l’abbigliamento femminile dell’epoca con un vero e proprio culto della “semplicità” e della “praticità”.
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Modelli di una tale elementarità con vestiti simili a tubi, più o meno stretti, con un’aperutra in fondo per le gambe, una più piccola in alto per la testa, e due piccoli tubi applicati ai lati per le braccia. Un’aria decisamente mascolina ma non per nulla priva di eleganza e fascino merito dello stile sofisticato, femminile, privo di eccessi, con soluzioni couture originali, maturate nella scelta dei tessuti e con un occhio puntato proprio sull’austerità della moda maschile.
Torino città industriale e capitale italiana della moda, un ruolo che le derivava più dalla vicinanza geografica con la Francia che dalla genuina vena creativa delle numerose sartorie e modisterie attive in città. La creatività, infatti, andava concentrandosi a Milano. I migliori ad osare in fatto di originalità avevano i nomi Giovanni T. Fercioni, Marta Palmer,
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Ventura, Biki, Sandro Radice, La Tortonese, Gabriellasport. Un ruolo, quella della contessa Gabriella di Robilant, da vera pioniera e che con il suo atelier decorato in modo inconsueto e rétro, divenne uno dei più noti a Milano. Abiti semplici, pratici, sportivi: un genere di moda molto distante dalle proposte couture delle sartorie tradizionali che, appunto, ammiccavano ai modelli parigini ma che ebbe un notevole successo. Successo inspiegabile, sorprendente, poichè vi si identificava a tal punto la moda con Parigi da rendere l’imitazione più redditizia dell’innovazione. Sarà stata certamente la voglia di uno stile nuovo, autonomo, libero.
Attorno agli atelier iniziò a fiorire il resto. I primi scatti fatti negli studi fotografici, come Ridenti a Milano, noto per le sue immagini realiste, e Luxerardo a Roma, con la sua impronta visiva artefatta, cinematografica; i disegnatori tra cui Brunetta, René Gruau, Mario Soresina, Albe Steiner e la pittrice sarda Edina Altara per diffondere tramite appropriate illustrazioni i vari capi. Ed ecco periodici, foto d’epoca, vecchie pubblicità, poster di grafica futuristica,
ripercorrere la storia delle sartorie più in voga nel Ventennio tra le due guerre. Sovrana, Annabella, Amica, Moda, Fili Moda, Per voi Signora le prime riviste glamour dell’epoca; ed anche Bellezza, la prima testata di taglio internazionale che si poneva al livello di Harper’s Bazaar.
Ma prima che le persone possano familiarizzare con la moda tramite la stampa, è necessario che essa sia lanciata da un gruppo disinvolto nelle capitali, alle “prime”, negli incontri mondani, nelle località e nei locali, appunto, “alla moda”. Da individui che vivono sotto i fari della pubblicità e a cui la gente guarda : i testimonial. Da Isa Miranda ad Edda Ciano, che diventò anche volto della copertina del Time. E poi, via via, le prime sfilate alla X Fiera Campionaria di Milano dove venne inventata la passerella; le modelle Carmen e Valentina Terzoli ; l’Ente nazionale della moda istituito a Torino nel 1935, che organizza in primavera e autunno i défilées.
Nasce anche una prima linea di made in Italy pronta ad esportare marchi come Persol, Superga, Facis e Luisa Spagnoli. Altro che Sala Bianca di Palazzo Pitti nei ’50. O anni ’80 con i nomi di Armani, Ferré, Versace . Nuove pagine di moda le cui basi vanno cercate in questi anni. Ed è proprio negli Trenta che si stabilisce la connessione tra creatività e tessutai, con la rivalutazione del casentino toscano, l’orbace sardo, rimarcando l’impronta e l’orgoglio locale. L’originalità della moda attraverso la valorizzazione delle tradizioni folkloristiche e delle lavorazioni artigianali. Ricami, pizzi, merletti, perline di vetro veneziano come tocco inconfondibile di italianità.
Ed è sempre nei Trenta che si affermano professioni attinenti alla moda come quella del fotografo, del pubblicitario, dell’illustratore e del giornalista. Come Lydia de Liguoro, che dalle pagine del “Lidel” -acronimo dei temi trattati dal mensile «Letture, Illustrazioni, Disegni, Eleganza, Lavoro» – lanciò una campagna a favore della collaborazione fra creazione, produzione e distribuzione, per promuovere la nascita di una moda italiana.
Bisogna però affermare che lo stile italiano ha una storia molto più complessa ed è superficiale fermarsi alla solita retorica celebrativa. Tantissime le menti creative che hanno contribuito alla diffusione della creatività e dell’arte tramite lo stile. Uno stile orgogliosamente made in Italy!!
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