“I miei vestiti sono i miei figli”…Parole, queste, che esprimono la passione e la dedizione quasi viscerale di un uomo verso il proprio lavoro.
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Dette e ripetute da colui che nei Sixties ha inventato la figura dello stilista, ponendo le basi del pret-à-porter italiano. Parliamo di Walter Albini.
Rivoluzionario, mercuriale, audace, soprattutto geniale. Autore di uno stile contemporaneo e attuale. Ha coniugato la moda con l’industria regalando all’abbigliamento in serie quel tocco glam perfetto per un pret-à-porter. Ed è stato tra i primi ad abbandonare i lampadari di cristallo della Sala Bianca di Palazzo Pitti a Firenze per scegliere di sfilare a Milano, città del design e delle avanguardie artistiche, anticipando il percorso della moda contemporanea.
Walter Albini ha saputo giocare sul tempo su diversi fronti. Comprendendo che ideare un capo di vestiario è anche un fatto industriale, trasformandosi, così, in un pioniere del made in Italy.
Nato a Busto Arsizio il 3 marzo 1941, dopo aver frequentato l’istituto d’arte Italo di Cremona a Torino, inizia a lavorare come illustratore di moda per varie riviste, finché agli inizi dei Sessanta si trasferisce per qualche tempo a Parigi. Lì l’incontro con Mariuccia Mendelli (in arte la stilista Krizia ), fondamentale, alla quale regalerà, per ringraziarla della cena offerta, una cartella piena dei propri disegni. Visti i disegni, Mariuccia se ne innamora all’istante e lo chiama per lavorare con lei a Milano. La strada è aperta per le collaborazioni con le altre aziende: Billy Ballo, Cadette, Cole of California, Gianni Baldini, Glans e Paola Signorini.
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Capelli pettinati da un lato, il blazer a doppio petto, il fazzoletto a pois nel taschino. Albini sembra uno di quei protagonisti dei romanzi di Francis Scott Fitzgerald. Uscito dalle pagine del Il Grande Gatsby. Non per nulla la cultura figurativa degli anni Venti e Trenta è la sua più grande ossessione: “Non un anno più in là”, ripeteva sempre. Un amore, questo, che si riflette appieno nei suoi numerosi disegni : silhouette verticalizzanti, fluide, delicate, dal rigoroso piglio rétro. Spingendolo poi verso quella ossessione nella ricerca di pura perfezione e di eleganza timeless tipica di quei tempi.
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Complice un perfezionismo ineguagliato, Albini comprende presto l’importanza di creare uno stile unitario, un total look in cui il compratore possa riconoscersi. Da questa convinzione, ecco la grande (e maniacale) cura verso il dettaglio, convinto che “l’accessorio viene assolutamente prima dell’abito, elemento di secondaria importanza”. Un’affermazione che ci porta a Coco Chanel, sua eterna musa ispiratrice che con gioielli fake riusciva a rendere elegantissimi semplici tubini noir.
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Emblematica sarà anche l’attenzione verso la progettazione dei tessuti e delle linee d’arredamento, alla fantasia delle stampe disegnate prodotte da aziende come Etro e Rainbow.
Scorrono i Settanta e verso la fine, in società con l’imprenditore Luciano Papini, fonda la griffe Misterfox: è Anna Piaggi a suggerire il nome. Ma il grande salto, quello che gli permetterà di gettare le basi del futuro made in Italy, verrà fatto il 27 aprile 1971, quando organizza a Milano un’imponente sfilata nella Sala d’oro del Circolo del Giardino.
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Sulle note sospese di “Der blaue Engel”, su una lunga passerella a forma di T, presenta cinque collezioni realizzate per altrettante griffe : Misterfox (abiti da sera e cocktail), Diamant’s (camiceria), Basile (capispalla), Callaghan (jersey) ed Escargots (maglieria). Sfilano, sinuosi, i 180 modelli suddivisi in 140 uscite, tutte con l’etichetta contrassegnata dalla dicitura “Walter Albini per..”. Proprio come accade per le moderne griffe con la chiamata di diversi stilisti pronti a collaborare ( come Karl che disegna anche per Fendi ).
A quei tempi, la novità assoluta è proprio questa: un unico stilista che progetta contemporaneamente per cinque case di moda indipendenti. Decisamente impensabile!!!
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Mentre la stampa estera entusiasta, lo acclama come il nuovo Yves Saint Laurent, quella italiana si dimostra più fredda e provinciale. Ma Albini non si perde d’animo. Nel 1972, pur avendo retto con il gruppo Ftm che si occupa della distribuzione dei marchi che disegna, dà vita con il socio Papini a una linea con le iniziali del proprio nome, WA.
Un successo, quello del 1973 a Venezia. Modelli anni Trenta, spogli, morbidi, proporzionatissimi con pochi studiatissimi particolari che impreziosivano lunghe silhouettes alla Greta Garbo, un pò preraffaellite, che ondeggiavano libere, giovani e moderne tra fiori, tavolini e battimani convinti delle giornaliste internazionali accorse al Caffè Florian.
Seguiranno poi una linea maschile ed una di alta moda. E accordi con altri imprenditori dopo aver lasciato Papini. Giueseppe della Schiava per l’Alta Moda e Mario Ferrari per il pret-à-porter i nomi della nuova intensa. Ma forse il mondo della moda, ancora in bozzolo, non si sente pronto per questa ondata frenetica di innovazione e lo lascia in sordina. A soli, 42, nel 1983 Albini muore in seguito a una malattia fulminante continuando, però, a vivere nelle creazioni di una moltitudine di colleghi che vanno da Armani a Lagerfeld, fino a Krizia.
Come non essere grati ad un stilista, il primo in Italia ad aver allargato gli orizzonti della moda senza mai cedere alla grottezza, alla mediocrità , alla volgarità ( spesso vista in passerella elargita come creatività). Un personaggio alla Fitzgerald, l’ultimo, a cui dobbiamo una grande lezione di moda e di stile.
Scyntilla
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